L’abito fa il politico?

“Non esiste un modo di vestire caratteristico dell’oratore, ma in un oratore è proprio il vestito che viene notato di più”

Quintiliano

Quando cadono i costumi la società si sgretola. È stato cosi nell’antica Grecia, successivamente nel Medio Evo ed è così anche oggi.  Tutto cambia sempre più velocemente e oggi la domanda che ci poniamo tutti è: l’abito fa ancora il politico?

La giacca e la cravatta – status simbol d’eccellenza delle persone di sesso maschile al potere – sono già state sdoganate da tempo da rappresentanti, venditori, consulenti, professionisti di ogni settore, quasi come se l’abito non fosse più quella cosa così importante da indossare in determinate occasioni, dove proteggersi determinando una sorta di distacco classista e non solo di rispetto ma anche di differenza sociale. Il punto è che oggi non si ha più voglia nemmeno di vestirsi e gli argini continuano a cadere a discapito di un Mondo che non sappiamo ancora dove ci porterà.

Il tentativo di distruzione del Dress code

Se si guarda al politico come un soggetto che va in giro in giacca e cravatta, lo si vede come una figura ormai antistorica e fuori tempo. E così il tentativo di distruzione del Dress code per i deputati e i senatori, si sta facendo avanti. In Italia è stato presentato un provvedimento sul codice d’abbigliamento che ha fatto infuriare molti parlamentari. Quella sorta di codice invisibile di vestibilità da usare sempre per manifestare rispetto, educazione ed essere identificati come persone serie e importanti, sta sparendo sotto i nostri occhi.

In tale senso è già da qualche anno che professionisti e politici osano un abbigliamento più easy e casual per accorciare la distanza che c’è con i loro elettori e non farli sentire in imbarazzo. Un livellamento totale e un divario che si sta sempre più assottigliando portando alcuni di loro addirittura ad andare in giro senza cravatta e in scarpe da ginnastica pur di stare comodi, facendosi vedere anche in mezzo alle persone vestiti come loro, indebolendo sicuramente, forse inconsapevolmente, il loro messaggio politico.

I tempi di Moro sono passati

Ma è pur vero che oggi sperare di vedere un Presidente come Aldo Moro che ad agosto va in spiaggia in giacca e cravatta sotto il sole cocente, è un’utopia. I politici di un tempo – ma non solo loro – non si sarebbero mai sognati di mettersi le scarpe da ginnastica o una maglietta, seppur con il caldo dell’estate italiana, prima di apparire in pubblico.

Quelli erano sicuramente i tempi di un approccio alla governabilità fatta di distacco e saggezza, forse, indiscutibile poterla paragonare ai tempi che stiamo vivendo, ma oggi nei tempi leggeri e fluel che sono – che ci piaccia o no – da tenere in considerazione, le barriere, gli argini e il vestito che indossiamo non sono più così importanti, e la cosa fa sicuramente pensare, soprattutto in ambito politico.

L’abito è la prima cosa che colpisce una platea

È vero: l’abito non fa il monaco, ma quando si parla in pubblico davanti a milioni di persone, il vestito è la prima cosa che viene osservata prima di ogni altra cosa. Il vestito che si indossa spesso è più potente di mille parole che si dicono e qualcuno dovrebbe incominciare a spiegarlo.

I colori e le forme di un abito, sono luce riflessa che arriva ai nostri occhi come onde elettromagnetiche di una certa lunghezza d’onda. Le onde luminose non vengono recepite solo dall’occhio, ma anche dalla pelle. Quindi ad esempio il colore degli indumenti che indossiamo a contatto con la pelle genera su di noi anche un effetto emozionale. I colori indossati hanno un duplice effetto: su chi li indossa favorendo una buona comunicazione e influenzando l’intero sistema psicofisico e su chi li osserva (il pubblico) modificandone l’armonia intorno a loro.

Questa è la ragione principale per cui il blu è il colore per antonomasia del politico, perché fare politica è una cosa seria e va trattata come una cosa seria che deve trasmettere fiducia e stabilità.

Anche se il provvedimento è passato alla Camera, ma con un testo un po’ ammorbidito, rimane la domanda chiave: l’abito non fa più il monaco nemmeno in politica?

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